Le mani di Storari, il sorriso beffardo di Alessandro Matri, la complicità di una difesa sciagurata.. E ancora la palla sotto le gambe di Doni, la traversa di Menez e la solita vecchia Roma, bella e impossibile nel primo tempo, irriconoscibile nella ripresa. Prendiamo quest’ingredienti, mischiamoli in una tortiera e inforniamo il tutto. Tempo di attesa 94 minuti, il minutaggio necessario per un dolce che più che dolce sarà amaro al palato dei giallorossi.
La Roma travolgente del primo tempo, che non lascia spazio a chi si chiama Juventus, ma inizia la partita come una Triestina qualsiasi (non ce ne vogliano gli alabardati), è bella da vedere e da ammirare. Applausi scroscianti per tutti: dalla diga Burdisso ad un perfetto Mexes, da Totti sublime a Vucinic pazzo in tutti sensi. La Roma gioca, palleggia, fa capire alla Juventus che, se ti chiami Juventus, non puoi pretendere di fare il 4-5-1 e sperare che il gol non lo prendi. Eppure mancava nei pensieri romanisti l’incognita x nascosta nell’equazione Roma più tre punti uguale Champions. Quella variabile che ti sconvolge ogni singolo piano e che ieri portava il nome di Marco Storari. Si, ancora lui. Quello di Roma-Sampdoria. La controfigura di Spiderman capace di catturare ogni pallone. E ieri altro inno alla gioia personale dando le spalle alla Sud. Prima Vucinic, poi Totti. E che Totti! Assist del montenegrino da sinistra e battuta al volo del numero dieci a pochi metri da Storari che ringrazia qualche santo in Paradiso per aver ancora salva la porta (e la mano). Poi De Rossi dai venti metri e ancora Storari in tuffo a negare le gioie fino a quel punto meritate.
Il secondo tempo invece è quello della trasformazione. Prendiamo un libro di dieci capitoli, dividiamolo a metà e nelle due parti raccontiamo due storie con gli stessi protagonisti. Non mettiamo però il classico racconto mitologico, mettiamoci una battaglia per la sopravvivenza europea. Dopo i bombardamenti romani, respinti dalla trincea Storari, arriva l’assestamento piemontese e la replica. Intanto la Juventus ha perso Motta per infortunio, la Roma Mexes per lo stesso motivo. Dentro Cassetti e da quella fascia Grosso si inserisce servendo l’unica anima bionda bianconera, ovvero quel Krasic reinventato seconda punta. Destro al volo, Riise guarda e pellicola già vista, anzi libro già letto. La Roma tossisce, colpita nei polmoni e prova timidamente a reagire. C’è di buono che la Juventus è ferma nella sua politica attendista, per la serie “vediamo che fanno gli altri, poi nel caso ci auto-invitiamo al banchetto”. Allora Totti (e chi se non il nostro Capitano?) ha un’intuizione per Menez che penetra in area dalla destra colpendo la traversa; tutta sbilanciata, però, la Roma offre il fianco, quello sinistro, alla Juventus ma Krasic pecca di precisione e Doni respinge. Montella tenta le carte Borriello-Taddei per Vucinic-Perrotta. Neanche il tempo di far sudare i nuovi che Grosso lancia Matri, Juan passeggia tenendo in gioco l’ex Cagliari, e il gol è assicurato se non altro perché Doni ci mette del suo facendosi passare la sfera sotto le gambe.
Il fischio finale di Rocchi (tra l’altro il direttore di gara di Roma-Juventus 1-3) rappresenta la campanella di fine lezione, un po’ come dopo un compito in classe. Che la Roma ha sbagliato. Aspettando quello di riparazione di sabato prossimo. |