Claudio Ranieri si prende la scena, lo fa senza freni e paura. Il palco è suo, nonostante ci sia Florent Ghisolfi che gli siede accanto. Sa come parlare ai media e comunicare ai tifosi: “Sarei rientrato solo nella Roma o nel Cagliari se fosse servito. Qui non ho tempo di fare errori”. Nel giorno della sua presentazione a Trigoria chiede di non fischiare la squadra (“Giocare in casa così è la cosa più difficile che esista. Siamo tutti una famiglia”), rende Paulo Dybala un punto fermo della sua Roma, riabilita Mats Hummels, ma soprattutto racconta Dan Friedkin. Il presidente è l’uomo del mistero, quello che non parla mai, ma che ha capito che c’è bisogno di un dirigente, romano, che possa farlo al suo posto. E Claudio ha padroneggiato la situazione con esperienza, lui che in carriera ha tenuto testa a presidenti come Roman Abramovich, Massimo Moratti e Vittorio Cecchi Gori. Ha rivelato che con Dan ha parlato in maniera schietta: “Se mi hanno chiamato è perché hanno capito i propri errori e lo hanno fatto per riportare in alto la Roma, mi è stata data carta bianca. Gli ho detto che ha speso tanti soldi e che dovrebbe dirlo, ma mi ha detto di aspettare. È scioccato perché non ha avuto i risultati”. Claudio restituisce l’immagine di un presidente innamorato della sua creatura, pur stando lontano e in silenzio. È il perfetto frontman della proprietà: credibile, carismatico, empatico e resiliente. “Io parlo sempre in faccia. Lui mi ha lasciato a bocca aperta per le cose che ha detto e per il bene che vuole alla squadra, al club e alla città. Mi ha detto che non può girare il mondo e vedere Roma con una squadra che non va. Ha speso tanti soldi, ma non è riuscito a fare quello che aveva intenzione di fare. Per questo io sarò l’uomo vicino alla proprietà, ma si farà tutto insieme perché per il presidente non esiste una visione piramidale della società, bensì collegiale”. Si prende le responsabilità, Claudio, di risollevare le sorti di una società in profonda crisi. Si è posto non solo da allenatore e dirigente, ma anche da psicologo.
Lo ha fatto parlando di quelli che lui reputa i leader della rosa. Primo su tutti Paulo Dybala, a volte accantonato, dicono i rumors per la paura che raggiungesse il 50% delle presenze e scattasse la clausola del rinnovo automatico: “È la prima cosa che ho chiesto al presidente e gli ho detto che farò come mi pare. Io mi inca…, parlo romano, mando per aria i tavoli negli spogliatoio. Ai miei presidenti parlo in faccia. Non mi interessa se ci sono clausole o meno. A lui è andato bene, altrimenti non mi avrebbe preso. Sulla questione fisica ne parlerò con il ragazzo. È di un’altra categoria. Quando sta bene fa la differenza. Lo farei giocare 90 minuti tutte le partite, ho dubbi possa farcela, ma se ce la fa non lo levo dal campo”. Ha riabilitato Mats Hummels (“Perché non dovrebbe giocare? Scelgo chi mi fa vincere”) e aperto, parzialmente a un ritorno a Trigoria di Francesco Totti: “Non sono chiuso a niente. Si parlerà con Francesco, perché no? Vediamo se potrà darci una mano”. Meno aperto a un ritorno, anche in panchina il prossimo anno, di Daniele De Rossi: “Non mi sento di illudere nessuno”. Poi, è intervenuto al posto di Ghisolfi quando l’argomento è andato sul mercato: “Intanto fatemi vedere la squadra. Ci sono dei giovani validi che vanno inseriti in una situazione compatta, poi si faranno delle valutazioni e se ci saranno delle opportunità sono certo che le mie richieste saranno soddisfatte”. Oppure, sul futuro della stagione in corso: “È tutta da giocare”. Infine, la promessa: “Non vedrete mai più Angeliño centrale”. Alla ripresa ci saranno Napoli, Tottenham e Atalanta, Shomurodov non ci sarà per una lesione muscolare di primo grado, ma il resto della squadra dovrà cambiare rotta. E cominciare a stupire.