In occasione dei suoi 70 anni, Bruno Conti ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport. La leggenda della Roma ha parlato della sua carriera e dei suoi 50 anni passati nel club, ma anche di una vicenda legata alla sua salute, che fortunatamente si è risolta per il meglio.
Bruno, 70 anni di cui 50 passati nella Roma. Due traguardi...
"Sono l'uomo con la più lunga militanza in giallorosso da calciatore, allenatore e dirigente: un grande orgoglio".
Cosa è stata la Roma per lei?
"Cosa è: tutta la mia vita. Ancora oggi quando sento gli inni di Venditti, Fiorini e Conidi mi emoziono, mi viene la pelle d'oca. Ho passato due anni al Genoa per farmi le ossa in prestito, avendo come maestro Simoni, ma non ho mai pensato di lasciare la Roma, neanche quando Maradona ogni volta che ci incontravamo mi diceva "vieni a Napoli". Mio padre, romanista fino al midollo, non me l'avrebbe mai perdonato".
Ricorda il primo allenamento con la Roma?
"Certo c'erano De Sisti, Cordova, Di Bartolomei, ma mister Liedholm chiamò me, un ragazzino, per mostrare un gesto tecnico: "Bruno fai vedere lo stop di interno", "Ora di esterno...". Liedholm, mi ha insegnato tanto e mi ha lasciato libero di esprimermi. Io andavo a destra, a sinistra, dribblavo e lui non mi ha mai ingabbiato o chiesto sacrifici, ma solo di sfruttare la mia fantasia. Chi mi mandava a quel paese era Bomber Pruzzo: "E dai 'sta palla...", io mi divertivo a fare finte e lui era costretto a liberarsi due tre volte dal suo marcatore prima che lo servissi. Ma quando gli arrivava il cross, era quasi sempre gol".
La Roma di Liedholm degli anni '80 è stata la più forte di sempre?
"La più forte non lo so, la più bella penso di sì. Era elegante, dominante, ci divertivamo a giocare. Nell'anno dello scudetto il Barone si inventò Di Bartolomei libero, due terzini mancini, Nela e Maldera. Falcao, Ancelotti, Prohaska, io, Pruzzo. Difendeva solo Vierchowod. L'anno dopo arrivarono Graziani e Cerezo. E pensate se avessimo avuto anche Rocca".
(...)
Chi è stato Dino Viola?
"Un visionario, creò la Roma pezzo dopo pezzo. Era tutti i giorni a Trigoria, appena nasceva un problema lo risolveva e la sera faceva il giro a spegnere le luci lasciate accese".
Il tempo che passa regala ricordi felici ma anche grandi dolori.
"La perdita di Agostino Di Bartolomei è una ferita che non si rimarginerà mai. Era il mio idolo, il mio capitano. Prima che accadesse l'irreparabile avevo organizzato una partita al palazzetto dello sport per un ex compagno sfortunato. Vennero tutti i ragazzi dello scudetto, Agostino era lì con noi e suo figlio Luca. Rideva, era normale. Non ci siamo accorti del suo disagio, se solo avesse parlato, chiesto aiuto. Io non riesco ad accettarlo: Ago, perché?".
(...)
Finita la carriera è stato responsabile del settore giovanile, scovando una infinità di talenti.
"Il primo anno presi Pepe, Bovo, Aquilani e il mio fiore all'occhiello di sempre, Daniele De Rossi. La lista negli anni è lunghissima. E quante plusvalenze... Romagnoli, Bertolacci, Caprari, Politano, Frattesi, Scamacca, Calafiori, Pellegrini, Zalewski, Bove, Pisilli".
Quanto le spiace che Totti non sia nella Roma?
"Tantissimo, lui è la storia della Roma".
Guardando indietro: a chi deve dire grazie?
"Ai miei genitori che hanno cresciuto sette figli facendo mille sacrifici. Mi hanno trasmesso i valori veri della vita. E poi a mia moglie, i miei figli e i miei nipoti, che mi sono stati vicino in un momento difficile, fortunatamente alle spalle".
Le va di parlarne?
"Due anni fa mi hanno diagnosticato un tumore al polmone. Devo ringraziare il mio medico di famiglia, il dottor Camilli, che si è accorto subito della mia tosse persistente e il professor Rendina del S. Andrea per le cure che hanno funzionato. E non dimentico il presidente Dan Friedkin che voleva portarmi a sue spese negli Stati Uniti: conservo le sue affettuose lettere. Ora però sto bene, gli esami sono tutti a posto. E posso dire che mi è riuscito un altro dribbling...".