Antonio Felici di France Football è intervenuto a Te la do io Tokyo, la trasmissione ideata e condotta da Mario Corsi, in onda sui 92.7 di Tele Radio Stereo.
"Complessivamente mi sembra un Ranieri un po' più rilassato, evidentemente la vittoria con il Lecce ha riportato un po' di calma. Mi hanno colpito due cose. La prima riguardo a Pellegrini, che mi pare di capire che, almeno per ora, si accomoderà ancora in panchina, non mi pare sia ora per lui di rivedere il campo e quel particolare sul contratto, da cui mi sembra di capire che per Ranieri può succedere di tutto, pure che Pellegrini vada via. E poi l'altra cosa interessante è che lui si dedica al 50% al campo e al 50% alla programmazione del futuro. Segno che era come pensavamo: Ranieri pensa, riflette e individua quello che bisogna fare o non fare e Ghisolfi, al massimo, sarà il braccio operativo. E speriamo che operi bene, perché la Roma altri casi Le Fée non se li può permettere e non può neanche permettersi di sbagliare il prossimo allenatore, l'ha detto anche Ranieri, perché questa è una stagione con tre allenatori e vuol dire che sono stati fatti errori clamorosi anche su quel versante. La pacatezza, il fatto che lui si esprima in maniera così sicura e posata credo che ci faccia ben sperare. In questo momento meglio di Ranieri per risollevare questa squadra e questa società non c'è. Dalle parole che ha detto, si capisce che Ranieri ha trovato un Pellegrini distrutto. Pellegrini, col bagaglio tecnico che ha, dovrebbe essere quello che determina le cose in una squadra, con i gol, gli assist, le vittorie. Ma lui da diverso tempo non determina più niente, sta sempre per terra, non esercita il ruolo di leadership. Ranieri ti ha detto che era un giocatore distrutto quando l'ha trovato. Da quello che ha detto, è in discussione il futuro. Il percorso nelle coppe viene rivalutato, ma non è una cosa particolarmente originale. Al di là di Juric, che è stato un incidente di percorso, o un accidente, ciò che ha contato di più nella Roma degli ultimi anni è stato il cammino a livello internazionale, perché in campionato non voglio dire che abbiamo fatto ridere, ma quasi. A livello internazionale, con Mourinho alla guida, la Roma si è costruita una credibilità assoluta. Fino alla stagione successiva alla finale di Budapest, la Roma a livello internazionale ha ottenuto quei risultati in Europa League, che non è la coppa del nonno anche se non la Champions, ha vinto la Conference, per cui a livello europeo la Roma è ancora qualche cosa. Quindi, visto che le cose migliori le hai fatte all'estero, come puoi permetterti di snobbare, sottovalutare o mettere in secondo piano l'impegno internazionale, che è l'unico che ti ha dato un po' di lustro. Quindi Ranieri fa bene a dire quello che dice, perché è una fotografia della realtà. E poi la consapevolezza di avere qualche qualità tu la maturi vincendo le partite: se queste partite sono in Europa League, in Coppa Italia o in campionato, conta, ma fino a un certo punto, nel senso che più vinci e meglio è. Se domani esci con una buona prestazione e tre punti in tasca, dando anche una sistemata alla classifica a livello internazionale, in campionato ci arrivi non dico gasato, però con un'altra consapevolezza, un po' più di fiducia nei tuoi mezzi. La Roma invece ci aveva abituato a una spirale negativa per cui, dovunque andassi, grande squadra, piccola squadra, media squadra, pigliavi gli schiaffi, ti abitui a perdere e alla fine perdi con chiunque. Purtroppo anche a livello psicologico lo sport è fatto così, c'è poco da fare. Le parole di Ranieri su Dovbyk? Non voglio dire che gli abbia fatto una doppia critica, però due rilievi glieli ha fatti, perché gli ha detto: "Amico mio, tu se non stai al 100%, è difficile che la strusci". Questo vuol dire quello che non gli sta riconoscendo un grandissimo bagaglio tecnico, perché io per esempio ricordo che c'era Dzeko che poteva anche non vedere la porta per dei periodi, però c'aveva i piedi da trequartista quasi e aiutava comunque la squadra. Lui è uno, gli ha praticamente detto, che, se non segna, serve a poco. E questo è il primo rilievo. L'altro rilievo è anche di natura tattica, perché è vero che la squadra chiaramente deve cercarlo di più, Dovbyk è un attaccante a cui devi dare quattro o cinque palle giocabili a partita, altrimenti non puoi pensare che faccia gol, però pure lui non può pensare di stare impalato in area di rigore e dialogare poco con i compagni. Dovbyk deve capire che è chiaro, lo abbiamo capito tutti, che lui va serviva in profondità, come succedeva col Girona eccetera, però laddove questa non fosse possibile, pure tenere una palla per far salire la squadra, non dico a livello di come lo faceva Lukaku, ma insomma una cosetta, pure quella gli è richiesta".